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Hate Speech | Come possiamo difenderci dai “leoni da tastiera” ?

Febbraio 10, 2021
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L’Hate Speech si può tradurre in italiano con “Parole d’odio” o anche “Violenza verbale”.

Chiunque usi un social network come ad esempio Facebook o Instagram si è sicuramente imbattuto in qualche post o qualche commento dov’era presente una violenza verbale verso la propria persona o verso altri utenti.

Solitamente si tratta di ingiurie, calunnie, offese, denigrazioni, parolacce ma anche inviti al suicidio o auguri di malattie o morte. È una pratica diffusissima che, oltre a ledere la dignità, il decoro e l’onore di una persona può avere anche serie conseguenze di tipo psicologico. Subire violenza infatti, sia essa anche solo verbale, è un evento comunque traumatico.

Come si può agire?

Va detto che questi tipi di reati sono di tipo penale equiparati alla diffamazione a mezzo stampa (Cass. Penale n. 19659/2019 e Cass. Penale 30664/2008) e ai delitti contro l’eguaglianza, (art. 604 bis e 604 ter c.p.). Rispetto alle condotte tradizionali però quelle perpetrate on-line si contraddistinguono per alcune caratteristiche specifiche:

 

  • LA VELOCITÀ E L’IMMEDIATEZZA DELLA DIFFUSIONE. Basta un click e l’espressione di odio è on-line, non ci sono barriere all’ingresso, non viene richiesta alcuna competenza, basta poco per diventare “virale”.
  • LA PERMANENZA. Infatti le parole di odio on-line si diffondono con una potenzialità lesiva permanente. I contenuti difficilmente spariscono dalla rete in maniera definitiva.
  • LA GLOBALITÀ. Il web come sappiamo non ha confini geografici

Per cui l’odio on-line è VELOCE, IMMEDIATO, PERMANENTE e GLOBALE, capace di eludere i sistemi di controllo politico-nazionali.

In Italia quali sono le leggi che regolano questi fenomeni?

Di recente è stata la volta della Legge n. 71/2017 contro il cyberbullismo (Legge Ferrara), e la riserva di codice che ha introdotto nel 2018 gli artt. 604 bis e 604 ter, delitti contro l’eguaglianza, il cui contenuto ricalca quello delle leggi precedenti. A causa delle dimensioni preoccupanti del fenomeno, cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni, la sola risposta repressiva non è sufficiente. È necessario agire anche in forma preventiva. Per questo è necessaria la collaborazione delle grandi Companies. E’ così che la Commissione Europea il 31 maggio 2016 ha annunciato insieme a Google, Facebook, Twitter e Microsoft, la predisposizione del “Codice di Condotta sulle espressioni illegali di odio on-line”, con la creazione di un sottogruppo a livello di UE dedicato alla lotta contro l’hate speech.

Aderendo al Codice, i social network contribuiscono all’elaborazione di procedure interne per consentire un intervento volto alla rimozione dei contenuti che incitano all’odio entro 24 ore. La tempestività dell’intervento è infatti fondamentale.

Un’utile ed alternativa forma di contrasto è oggi rappresentata dal cosiddetto counter speech, che consiste nella risposta diretta ai contenuti di incitamento all’odio, affidata ad altri utenti del web. Insomma le soluzioni ci sono.

La prima cosa che le vittime di violenza verbale devono sapere è che quasi sempre l’autore di violenza verbale su internet è assolutamente rintracciabile. La polizia postale riesce quasi sempre a risalire ai colpevoli. Si pensi che in Francia Facebook ha acconsentito a fornire ai Tribunali i dati sui sospettati di odio verbale. Un autore di commenti di odio e violenza verbale, soprattutto in caso di offese gravi e magari anche continuative, verrà certamente individuato e processato.

In secondo luogo intraprendere provvedimenti di tipo legale è un gesto non solo di autotutela ma anche di grande civiltà. Questo perché se gli autori di hate speech cominciano a pagare sempre più spesso le conseguenze delle proprie offese allora si diffonderà nei cittadini una sana abitudine a non essere violenti. 

 

Sicuramente un’educazione alla gentilezza, alla netiquette e al rispetto dei propri interlocutori deve partire dalle famiglie e dalla scuola. Ma anche far pagare chi sbaglia riesce a dare degli ottimi risultati.

 

Il web non può e non deve restare una zona franca, in cui siamo liberi di offendere chiunque ci capiti a tiro, magari solo perché non la pensa come noi, o magari solo perché non abbiamo fisicamente davanti a noi il nostro interlocutore. Essere dietro a un monitor non è una licenza di offendere e ingiuriare. Il garbo e la buona educazione si devono esigere sempre, anche on line.

Pertanto l’invito è molto semplice: denunciate, denunciate, denunciate. Perché mettendo in mora i colpevoli si contribuisce a diffondere una cultura digitale più civile fatta di rispetto e correttezza generale e diffusa.

 

Post scritto dall’avvocato penalista MariaGrazia Santosuosso


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